Cultura
Il Cremlino delinea i contenuti del documento sull’identità russa
Il fronte di intervento contro il rischio di una “Maidan” anti putiniana in Russia è sempre più spostato sul versante della cultura. La definizione di una identità ben distinta non solo da quella occidentale ma anche da quella europea, e del “grande russo” che la incarna è al vaglio di un gruppo di lavoro presieduto dal capo dello staff del Cremlino, il “silovik” (uomo forte) più vicino a Vladimir Putin, Sergej Ivanov.
La Russia si trova a un bivio, suggerisce il documento anticipato dalla stampa di Mosca e ripreso da una botizia dell’agenzia di stampa Adnkronos. Il paese è quindi chiamato a scegliere fra l'estinzione culturale (leggi, quello che accadrebbe con una nuova leadership) e la salvaguardia dei “fondamenti morali e spirituali”. La seconda strada è possibile, si sottolinea, ma solo a patto di adottare “una politica culturale di Stato”.
Nei giorni scorsi il presidente Vladimir Putin ha parlato, come già in altri suoi interventi pubblici, dell'identità del nuovo uomo russo sulla traccia del pensiero di Solgenitsin: “L'uomo russo, o meglio, una persona che appartiene al mondo russo, pensa prima di tutto che l'individuo sia definito da un elevato senso morale. I valori occidentali al contrario sono basati sull'idea che il successo si misuri solo sulla riuscita personale”.
In una intervista a Kommersant, il ministro della cultura Vladimir Medinskij ha completato il pensiero, descrivendo la cultura russa non solo come antagonista a quella europea, ma come sostituto della cultura e dell'identità europea. La Russia ha il dovere di proteggere la sua cultura dalle deviazioni della cultura europea contemporanea, ha detto. “La Russia sarà forse uno degli ultimi guardiani della cultura, dei valori
cristiani e della reale civiltà europea”, ha precisato.
Lo scrittore Boris Akunin, uno degli intellettuali (pochi) più impegnati nella critica alla leadership russa, fra i
protagonisti delle manifestazioni di protesta a Mosca tra la fine del 2011 e il 2012, denuncia il rischio, per artisti e intellettuali, di farsi omologare da questa operazione politica.
Akunin, il cui vero nome è Grigory Chkartishvili, nel suo blog ricorda l'esempio di Maxim Gorkij, della sua bella vita e della sua grande opera fino al ritorno in Russia, quando divenne poeta di Stato e arrivò a decantare le condizioni di lavoro dei gulag, rovinando la sua reputazione nella memoria dei posteri, così come accadde allo scrittore norvegese Knut Hamsun, premio Nobel nel 1920, ma che nessuno ricorda per il capolavoro “Il risveglio della terra”, quanto per la sua collaborazione con i nazisti.
“Ci sono due regole ferree che proteggono un artista dal rovinarsi il necrologio”, scrive Akunin: “tenersi alla larga da dittatori e governanti autoritari” ed evitare di farsi trascinare dalle sfumature, perché ”per quanto una cosa sia complessa esteticamente, eticamente rimarrà sempre semplice: quando si ammirano le sfumature del grigio, non bisogna mai dimenticarsi di distinguere il bianco dal nero”.