Cultura
Applausi a Cannes per “In the fog” dell’ucraino Sergej Loznitsa
Due fratelli scolpiti nella roccia, i sensi di colpa, l’infamia insopportabile di essere avvertiti come traditori e una natura, quella ucraina, che incanta per la bellezza selvaggia. È piaciuto “In the Fog”, film dell’ucraino Sergej Loznitsa in concorso alla 65esima edizione del Festival di Cannes. Una pellicola che, nonostante i tempi lenti e i 130 minuti di durata, ha catturato l’attenzione della stampa.
La vicenda: siamo nel pieno della Seconda guerra mondiale, in una foresta della Bielorussia. Due uomini della resistenza, Burov (Vlad Abašin) e Voitik (Sergej Kolesov), hanno un ingrato compito: uccidere Sušenja (Vladimir Svirski), che tutti considerano un traditore, un collaborazionista con i nazisti.
Burov, nonostante sia il fratello di Sušenja, non esita a fare il suo dovere. Ovvero prelevarlo dalla sua casa, fargli abbandonare moglie e figlio e trascinarlo nella foresta per fargli scavare quella fossa dove ha intenzione di seppellirlo dopo averlo ucciso. Per Sušenja, che è un brav’uomo, questa morte, anche se avviene per mano del fratello, è una liberazione. Perché lui, che è davvero innocente, non sopporta più il sospetto che gli altri nutrono nei suoi confronti, soprattutto quello negli occhi dell’amata moglie. Meglio morire, pensa.
Ma quando il fratello, che sta per ucciderlo, viene ferito, e lui è libero di fuggire, non manca di trascinarlo sulle spalle, prima ferito e poi morto per dargli una degna sepoltura. E intanto nella fitta vegetazione dei boschi ucraini diventa protagonista di incontri, di spari, di tragedie.
La tesi del regista è che “il cammino del protagonista, prima di comprendere che per lui non c’è più una via d’uscita, è proprio il senso di un film che vuole dimostrare come durante la Seconda guerra mondiale nessuno fu davvero innocente”. Sergei Loznitsa, classe 1964, cineasta dal passato insolito (laureato in matematica e traduttore dal giapponese), non manca anche di citare Eraclito di Efeso nelle sue note di regia, nella frase che dice “gli occhi e le orecchie sono poveri testimoni per chi ha l’anima barbara”.